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La Istanbul evanescente di Ceylan

Raffaele Elia, Hide Out (Italy), 17 June 2004

 

 


M Istanbul, Mahmut, fotografo ormai disilluso dalla vita, ospita Yusuf un parente che sogna di trovare lavoro al porto e imbarcarsi verso terre lontane. Il rapporto tra i due sarà molto difficile e le loro solitudini non diventeranno un amicizia.

Uzak è un film duro girato in una atmosfera opprimente che racconta, attraverso inquadrature lente e bianche, la malinconia e la solitudine dei due protagonisti. Mahmut, fotografo disilluso di mezza età, si trova ad ospitare Yusuf, un parente scappato dal suo paese con il sogno di diventare marinaio. La convivenza sarà difficile tra un uomo che fugge dai propri ideali e un ospite alla ricerca di se stesso. Il primo si rifugia in piccole manie e la sua voglia di cambiare il mondo si è dissolta nel nevischio avvolgente della città e trasformata in un egoismo al riparo da ogni sentimento. I dialoghi ridotti al minimo lasciano spazio ad una poesia del silenzio, dei suoni, dei rumori e delle immagini imprigionate in una bellissima e rarefatta fotografia, ricca di senso della luce e dominata dal contrasto tra il bianco della città e i colori caldi degli interni.

 

Impegno e trasfigurazione

Ceylan affronta temi realistici (depressione economica, disoccupazione) trattandoli all’interno di un universo trasfigurato, quasi sovrannaturale. Il viaggio disperato dei protagonisti si trasforma sempre in percorso interiore. Ogni slancio creativo è svilito inesorabilmente, i secchi dialoghi sono lo specchio della loro disillusione («la fotografia è morta») e quando la TV proietta Stalker di Adrej Tarkovskij (Russia, 1979); l’impegnato Mahmut sceglie una videocassetta pornografica. L’ossessione sessuale è onnipresente (i rapporti squallidi, le gambe che si toccano sull’autobus) in un film maschile, di uomini che spiano le donne provando verso di loro solo attrazione fisica o rimpianto. Un cinema di immagini che immortala una nave fantasma ribaltata nell’acqua e ricoperta di neve evocando la forza iconografica e lo sguardo visionario di Herzog, venato però di una infinita malinconia.



La fuga impossibile

Il ritmo segue una progressione lenta scandita da momenti di ironia amara e mai liberatoria. Secondo Ceylan «la malinconia è paragonabile al lutto, in entrambi, spiega, l’uomo ha perso qualcosa, ma nel caso della malinconia non sa cosa».
Mahmut e Yusuf, come tanti personaggi di Kieslowski, sono prigionieri di una trappola emotiva che li tiene lontani dal mondo vanificando anche il solo desiderio di una fuga. Rimane loro l’indifferenza protetta da sguardi impenetrabili e persi nel vuoto. Emblematica l’inquadratura finale con un piano della panchina del molo che comincia medio e diventa primissimo per perdersi in una Istanbul sempre più spettrale dove il fumo delle sigarette si fonde con la foschia rendendo ogni cosa evanescente.



Curiosità

L’attore Mehmet Emin Toprak, cugino del regista ed interprete nel film di Yusuf, è scomparso poco dopo aver terminato le riprese ed il premio a Cannes è stato ritirato, tra la commozione in sala, da Ceylan e la moglie.